venerdì 8 luglio 2011

L'Abbazia nel Querceto, Caspar David Friedrich



Per vivere in eterno,
bisogna spesso abbandonarsi alla morte.


Nella cupa e malinconica atmosfera di un'alba nordica si stagliano all'orizzonte, immerse tra le querce, le rovine dell' antica abbazia gotica di Eldena, nei pressi di Greifswald. 
Un gruppo di monaci si sta apprestando a dare sepoltura ad un proprio fratello morto. Il corteo si è già addentrato nell'oscurità delle rovine, tanto che è difficile scorgere nitidamente i corpi che avanzano silenziosi.
La porzione inferiore della tela è caratterizzata da tonalità dense e molto scure, consistenti e voluminose. Ne sono l'esempio più evidente le lapidi che affiorano dal terreno fangoso, ed ancora i resti dei cespugli, gli scheletri dei fusti disseminati tutt'attorno il corpo centrale dell'edificio religioso. La natura sembra decantare passivamente in questo clima di morte che aleggia nel mattino nebbioso, impotente contro l'azione corrosiva del tempo. Nemmeno la materia inorganica, il marmo, le istituzioni religiose e il potere che le ha sempre contraddistinte sono immuni alla decadenza e al disfacimento. Dal dato oggettivo di un ricordo passato, l'autore imprime all'opera un forte carattere allegorico, addentrandoci in una riflessione sul termine ultimo dell'esistenza umana e della stessa materia da cui siamo composti.
Ricorrono nell'opera i temi principali della scuola cimiteriale settecentesca; in particolare Friedrich si ricollega ad autori come Gray, Young e MacPherson, che circa mezzo secolo prima avevano anticipato le tendenze preromantiche attraverso odi crepuscolari dalle tonalità crude e macabre. Davvero tutto ha termine con la morte o l'uomo, nella sua relativa ignoranza non riesce a comprendere un'essenza superiore che pervade il tutto?
La risposta di Friedrich risiede nella parte superiore della tela. Alle tenebre della Terra si contrappone la candida luce di un cielo albeggiante, evidente richiamo all'Aldilà cristiano. Ad una prima interpretazione l'opera apparirebbe come un'allegoria del passaggio dalla condizione materiale alla vita eterna. La morte perde quell'accezione unicamente negativa che aveva contraddistinto la tendenza Materialistica precedente, per divenire simbolo di catarsi.
Richter ritenne Friedrich un patetico e impotente fruitore dei simbolisimi, arbitrario mediatore tra allegoria e qualcosa di troppo immenso da essere spiegato con essa.
Come non si può apprezzare colui che, consapevole della propria imperfezione e della propria infinitesimale rilevanza, con i metodi concessi dalla contingenza umana, ricerca con un sentimento spontaneo e infantile il Dio in cui crede in tutto ciò che lo circonda, e si impegna a tradurre ciò in arte?